Così fan tutte (Torino 2003)

La Stampa 23 Apr 2003

Bravo, Ettore Scola, la sua prima regia lirica, tanto attesa, e' complessivamente una riuscita. Nell'affrontare Mozart non ha fatto delle stranezze, ma si e' prudentemente infilato nel solco della tradizione.

Il che non vuol dire fare uno spettacolo "vecchio". Non esistono regie vecchie o regie nuove, come sostiene chi pensa ingenuamente di essere all'avanguardia, ma solo buoni e cattivi spettacoli, messinscene che possono apparire decrepite trasportando il "Nabucco" sulla luna e altre che, in costumi tradizionali, presentano lavori di duecento anni fa come se fossero stati scritti ieri. A teatro, insomma, si puo' fare tutto: basta farlo bene.

E Scola ha reso vitale e godibile, cioe' perfettamente attuale, "Cosi' fan tutte" , dalla prima all'ultima scena. Non e' poco. Bandite le interpretazioni strampalate e cervellotiche oggi di moda (il Regio ne ha dato un saggio egregio con il "Macbeth" dello scorso autunno) Scola serve fedelmente la frizzante commedia di Da Ponte, e la costruisce attraverso un lavoro sugli attori di qualita' rara nel teatro d'opera.

Il suo segreto: aver ascoltato con attenzione la musica di Mozart che suggeriscecon precisione gesti, atmosfere, luci, alternanza di movimento e stasi, azione econtemplazione. La recitazione, cosi', e' spigliatissima e garbata, molto vera anche nelle grandi arie in cui i cantanti tendono a esprimersi in gesti convenzionali.

Qui, invece, ognuno dei sublimi canti di Mozart ha il ritmo giusto, il movimentoinatteso, il guizzo ironico mai caricato, e, soprattutto, una naturalezza che quella musica, incredibile per verita' e leggerezza, spirito e malinconia, realismo e religioso stupore, postula come condizione primaria della sua realizzazione scenica.

I concertati sono pezzi di vero teatro: e Scola non ha paura di assecondarli neiloro ritmi interni. Non li riempie, ad esempio, di gesti superflui come fanno altri registi di teatro e di cinema poco abituati alla dinamica interna del melodramma: vivaci e realistici quando l'azione va avanti, i pezzi d'assieme sono pronti ad arrestarsi in quei momenti in cui la musica ferma l'azione esteriore per lasciare affiorare quella interiore.

Nascono cosi' pulsazioni naturali del ritmo drammatico e personaggi assai pungenti, soprattutto in rapporto alla bravura dei cantanti-attori.

La piu' vivace e' la servetta Despina: una popolana piena d'arguzia e di cinico realismo che, con la sua figura pienotta, Giovanna Donadini rende in modo straordinariamente simpatico. A lei il regista da' piu' peso del solito: ogni tanto la mette sullo sfondo ad amoreggiare con un giovanotto, il che presta al personaggio una consistenza sensuale tutt'altro che inopportuna.

Bene anche le altre due donne, Patrizia Ciofi, cui manca un po' lo spessore delle note basse ma che disegna una Fiordiligi di grande classe vocale e scenica, e la vivace Laura Polverelli nella parte di Dorabella, anche lei molto addentro ai segreti insidiosi del canto mozartiano. Ferrando e' il tenore JeremyOvenden, voce esile ma garbatissima e sufficiente a rendere attendibile e gradevole il romantico Ferrando, con le sue arie stupende e difficilissime. Guglielmo, piu' estroverso, brillante e spiritoso del compagno, e' impersonato magistralmente da Nicola Ulivieri, anche se e' vittima dell'unico vero errore del regista: l'aria "Donne mie la fate a tanti" con cui apostrofa le donne in una brillantissima e ammiccante ramanzina sulla loro leggerezza amorosa, va rivolta alle signore e signorine presenti in sala. Qui Mozart squarcia la quartaparete e la commedia borghese diventa per un momento commedia dell'arte: l'effetto, voluto, e' un piccolo, spiritosissimo choc che va perduto se il regista fa cantare l'aria a un gruppo di ragazze presenti in scena. Ma nel cinema la quarta parete, si sa, e' indistruttibile, e Scola viene di li'. Infine, Don Alfonso: Umberto Chiummo lo rende con grande controllo.

Non ne fa un demonio, ma, piu' giustamente, un filosofo tollerante verso le debolezze del bel sesso: solo lo vorremmo un po' piu' intrigante, autorevole e divertito nel sostenere la tesi che "cosi' fan tutte" e nell'intrecciare i fili della burla con cui Guglielmo e Ferrando, travestiti da esotici ufficiali, fanno la corte l'uno alla fidanzata dell'altro, facendone crollare la supposta fedelta' e perdendo la scommessa con il loro disincantato amico. La direzione diCorrado Rovaris e' assai pertinente: nella prova generale e' cominciata un po' in sordina, con una secchezza eccessiva (perche' cosi' frigida l'Ouverture, a cominciare dagli accordi iniziali?) ma poi si e' sciolta e ha avuto i suoi momenti di vivacita', incanto e affetto, ben assecondata dall'orchestra da cui Mozart pretende raffinatezze sovrane.

Il lato debole dello spettacolo sono invece, a mio parere, le scene di Luciano Ricceri (i costumi, un po' scoloriti, sono di Odette Nicoletti). C'e' un nastro di ambienti che scorrono: salotto, camera da letto, giardino, bagno, molto carichi di arredi e francamente pesanti. S'e' voluto ricostruire l'ambiente napoletano, ma la Napoli di Mozart, di cui all'inizio e alla fine si vede anche il porto, con tanto di vigorosi scaricatori (cosa del tutto inutile), non e' quella concreta, robusta e barocca di Vinci, Pergolesi, Paisiello e compagnia; la Napoli di Mozart e' vista di lontano, dall'osservatorio aristocratico della Vienna imperiale, e' una cosa cristallina, stilizzata, lieve, deve avere l'incanto di una veduta settecentesca, trasparente di colori pastello, e un tocco di leggera ironia.

Son sicuro che in un ambiente meno pesante il mordente conferito alla recitazione avrebbe sprizzato piu' argento vivo, come suggerisce quella musica che ogni volta non finisce di stupire anche chi la conosce e l'ha studiata a fondo: sara' opera d'un uomo o d'un semidio? Successo vivissimo.

By Paolo Gallarati

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