Lucia di Lammermoor (Savona 1996)
Patrizia Ciofi (Lucia), Giorgio Casciarri (Edgardo), Giovanni Meoni (Enrico), Roberto Bencivenga (Arturo), Giorgio Giuseppini (Raimondo), Donatella Gallerini (Alisa), Fabio Marzi (Normanno).
Il Teatro G. Chiabrera di Savona è uno di quei piccoli gioielli di cui il nostro paese è cosparso, e che ci rammentano il nostro passato di culla dell'opera lirica.
È anche uno dei pochi ancora funzionanti, grazie alla presenza del Teatro dell'Opera Giocosa, un "ente minore" di grande vitalità.
Negli anni '80 l'Opera Giocosa, guidata dal presidente Tito Gallacci, ha proposto a Savona opere rare, comprese alcune prime esecuzioni moderne che hanno attirato pubblico specialistico e critica da tutta Italia; ma nel nostro paese non è possibile sopravvivere nel sempre meno finanziato mondo teatrale senza "fare botteghino": per questo negli ultimi anni il Teatro dell'Opera Giocosa ha dovuto mettere in secondo piano le riscoperte e le opere giocose del '700 e del primo '800, per dedicarsi a titoli di maggior presa sul pubblico.
Il Teatro Chiabrera ha così visto tornare sulle scene Butterfly, Traviate, Trovatori e così via. Ovviamente per mettere in scena titoli del genere in un piccolo teatro sono necessarie molte precauzioni: il rischio è quello di cadere nelle "esecuzioni di provincia", nel senso peggiore del termine. Per evitarlo, o si spendono tutti i fondi per un grande nome, o si crea un "vivaio" di giovani cantanti che siano in grado di dare prove dignitose e rispettose dei grandi autori eseguiti.
E l'Opera Giocosa ha seguito più spesso questa seconda strada, meritoria per l'incentivo dato al futuro del canto italiano, e non priva di soddisfazioni: molti grandi interpreti italiani che oggi cantano a Roma o alla Scala sono stati "lanciati" proprio a Savona.
Quest'anno la prima ha visto sulla scena savonese la giovane Patrizia Ciofi nei panni di Lucia di Lammermoor: un ruolo in grado di intimorire anche cantanti ormai "arrivate". La Ciofi è stata quasi sempre all'altezza della situazione, grazie ad una voce di grande dolcezza e ad una naturale facilità negli acuti. Qualche screziatura si è avvertita nelle scene d'assieme e l'emozione ha "accorciato" qualche acuto, ma nella scena della pazzia la Ciofi ha avuto la presenza scenica e soprattutto le giuste pause e per rendere commovente un'esecuzione tecnicamente valida.
Solitamente le giovani Lucie tendono a restringere le pause espressive, soprattutto nella celebre cadenza finale, per la fretta di terminare l'arduo compito, realizzando un'esecuzione precisa ma poco coinvolgente; la Ciofi invece ha dato il meglio proprio nella cadenza, concedendosi ampi respiri che hanno dato grande tensione ed emozione tragica alla sua esecuzione.
Nella parte di Edgardo abbiamo ascoltato un altro giovane, Giorgio Casciarri: una voce di tenore potente e penetrante, anche se molto nasale e spesso troppo "singhiozzante", cosa che comunque non è completamente fuor di luogo interpretando un personaggio tragico come lo sfortunato erede dei Ravenswood.
La drammaticità dell'arrivo alle nozze di Lucia è stata resa superbamente da Casciarri, che si è poi lanciato in una sferzante maledizione. Il finale è stato reso appropriatamente, a parte alcune durezze nell'arduo bell'alma innamorata, uno dei momenti più strabilianti del genio donizettiano che necessiterebbe di un fraseggio molto più espressivo di quanto solitamente il povero tenore, stremato dopo due ore e mezza di spettacolo, riesca a proporre nella faticosissima doppia salita cromatica al La naturale.
Di buon livello anche gli altri componenti del cast: Giovanni Meoni è stato un Enrico preciso e dotato di una notevole uniformità di emissione, eroico quanto basta e valido dal punto di vista teatrale.
Buono Roberto Bencivenga nella scomoda parte di Arturo, validi Alisa e Normanno. Decisamente bella la voce di basso di Giorgio Giuseppini, un Raimondo sacerdotale e profondo, molto piacevole all'ascolto.
A mio avviso in Lucia il coro va inserito tra i protagonisti, sostenendo un ruolo di grande peso e non scevro da difficoltà interpretative notevoli. È proprio il coro a dover esprimere gli affetti più esacerbati nel minor tempo, come nel repentino passaggio tra il giubilo e la meravigliata disperazione all'annuncio della pazzia di Lucia.
Ci voleva dunque molto coraggio a presentare in questa prima un coro di "dilettanti", qual è il coro Giuseppe Manzino di Savona. Questo coraggio l'ha avuto il Maestro Giovanni Di Stefano, nuovo coordinatore musicale dell'Opera Giocosa, che ha personalmente selezionato questo complesso vocale.
E la scelta si è rivelata positiva: il coro, validamente preparato da Cinzia Scamuzzi, è sempre stato più che dignitoso, e nonostante alcuni inevitabili scompensi con l'orchestra, soprattutto ritmici, dal punto di vista musicale ha reso con i giusti colori i vari momenti in cui è stato protagonista.
Ottima la visione globale e drammatica del direttore, Roberto Tolomelli, anche lui un giovane, che si è dovuto misurare oltre che con un coro esordiente anche con un'orchestra come la Sinfonica di Savona, un complesso nato (come molte compagini di provincia) grazie alla volontà ed alla dedizione di privati, la cui attività è limitata a pochi mesi all'anno, cosa che influisce sulla qualità di alcune sezioni.
Tolomelli ha fatto un ottimo lavoro, permettendo al pubblico di sorvolare sulle carenze tecniche dell'orchestra grazie ad un fraseggio attento e ad un buon "respiro" interpretativo.
Una nota negativa va invece alla regia: una pavimentazione a blocchi nerastri stile "post-nucleare" avrebbe dovuto rappresentare la caduta di un mondo, e invece ha rischiato di far cadere rovinosamente protagonisti e masse corali. Per tutta l'opera un velo nero è rimasto teso tra palcoscenico e platea. La visione drammatica si è estesa retrospettivamente, tanto che coristi e comparse erano paludati in abiti totalmente neri, gli stessi dall'inizio alla fine dell'opera, e le loro mani erano rigidamente bloccate in posizione "protoromantica", con effetti sgraziati.
Per non parlare della verosimiglianza di un corteo di nozze interamente vestito a lutto: che la tragedia sia già presente dall'inizio può essere una interpretazione rispettabile, ma le interpretazioni dei registi non possono giungere all'assurdo rappresentativo, soprattutto in opere dell'ottocento.
Validi invece i movimenti quasi "meccanici" della protagonista nella scena della pazzia, che hanno dato maggiore intensità all'orrore della tragedia della mente.
By Marco Milano
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